MURISENGO
MURISENGO
Dial. Ambrüžèng. Munesingum, 940 [BSSS 28, doc. 55, p. 97].
Nel 1928 a Murisengo venne aggregato il comune soppresso di Corteranzo [R.D. n. 2413, 4/10/1928].
Abitanti: 750. Distanza da Casale Km 28 ‑ Altezza: m 338 s. m.
Provincia di Alessandria.
Parrocchia di S. Antonio Abate. Dalla diocesi di Vercelli passò nel 1474
alla nuova diocesi di Casale
[De Bono 1986, p. 34], nel 1805 alla diocesi di Asti, infine nel 1817 nuovamente
alla diocesi di Casale [Bosio 1894, pp. 134-41].
Chiesa parrocchiale, S. Antonio Abate:
presso il castello. Fu fatta costruire tra
il 1743 e il 1754 dal parroco don Carlo Serra Madio, sui resti di una chiesa
precedente, citata nel 1561 e in ricostruzione nel 1616, quando già da un anno i sacramenti venivano amministrati nell'oratorio di S. Michele [ASDC, Vis. past. d'Este, 455-455, f. 57r; Vis. past. Pascale, 458-464, f. 106r]. Progettista fu Giovanni Peruzzi (pagamenti nel 1748)
[Casalis, vol. XI, 1843, p. 610;
Ieni 1995, p. 20 n. 7]. Gli altari
in marmorino vennero realizzati entro il 1755 da Francesco Solari
[Di Majo 2010, p. 52]. I lavori di decorazione pittorica sono documentati dal 1751 al 1754; segnalati interventi dei pittori (Pietro?) Ferraris («le due nicchie delle Vergini, e tendoni» sopra
gli altari laterali maggiori, 1751), Luca Rossetti di Orta (per l'intera esecuzione della volta, 1751),
Carlo di Moncalvo (identificabile con Carlo Gorzio, autore di quattro tele d'altare nelle cappelle laterali minori,
1754), Carlo Antonio Muttone, Carlo Felice Bianco e Pietro Piazza di Torino (decorazione della facciata, terminata nel 1753; completamento delle pareti interne con quadrature, 1753-54) [Pommer 1967, pp. 165-66; Aletto 2006, p. 163; Facchin 2014, p. 68].
Don Serra Madio fece pure costruire la casa canonica e la casa degli esercizi spirituali
(quest’ultima, ceduta al comune di Murisengo, è stata demolita). La chiesa fu consacrata da mons. Ignazio della Chiesa
il 29/9/1754 [AD 1991, p. 162]. Il campanile, più tardo, era già innalzato nel 1777
[Guasco 1912, p. 46].
La sobria facciata in mattoni a vista, restaurata e intonacata nel 1865,
restituita al cotto nel 1942 [Niccolini 1877,
p. 409; Prola 2002, p. 182],
è divisa orizzontalmente da una trabeazione, sopra la quale quattro delle sei lesene proseguono
verso il timpano; la parte superiore più stretta è raccordata da volute; nella lunetta della porta d’ingresso è dipinto
S. Antonio Abate nel deserto.
L’interno è molto interessante, tra i migliori esempi del rococò piemontese per l’armonia degli stucchi e delle decorazioni.
Pianta a croce greca, con presbiterio e abside rettangolare; il disegno ricorda il primo progetto di Juvarra per Venaria
[Pommer 1967, p. 165]. Abside e presbiterio hanno volte a botte con due
lunette per parte; volte a botte coprono anche gli altri ambienti, mentre sulla crociera vi è una grande cupola
circolare molto ribassata,
senza cupolino. Una buona illuminazione è assicurata da quattro alte finestre nel presbiterio e nel coro; nelle
cappellette angolari si aprono piccole finestre trilobate. Tutt’intorno corre un’alta trabeazione con ringhiera di
ferro battuto, sostenuta da
lesene dai ricchi capitelli compositi di stucco [Olivero 1940, p. 229].
Gli affreschi delle volte (nel catino della crociera S. Candido inginocchiato tra le gerarchie celesti, con i quattro Evangelisti nei pennacchi; la Trinità con angeli nella volta del presbiterio; la Gloria di S. Antonio abate nella lunetta sulla parete di fondo del coro) di Luca Rossetti (1751), sono stati restaurati nel 1976-77 da
Gian Luigi Nicola [Spantigati 1978, p. 143].
L’altar maggiore in stucco coi modiglioni laterali in marmo nero di Como,
dedicato a S. Antonio Abate, è opera dei fratelli Solari (1750); è sormontato da
un Crocifisso ligneo del 1917 tra dieci candelabri. La balaustrata del presbiterio in stile lombardo,
di marmi policromi, con pilastrini policurvi tramezzati da
formelle riccamente traforate a volute, fu realizzata da Giovan Battista Galli (1778)
[Olivero 1940, p. 229;
Di Majo 2010, pp. 503-505]. Il coro
ligneo del sec. XVIII ha una decorazione a nastro intarsiato di gusto rocaille. Sopra il coro, in un importante
apparato di cornice con colonne, è posta una pala raffigurante S. Candido,
contornata da 14 ovali privi di immagini; l'imponente figura del santo militare ricorda il Pirro del Castello di Moncalieri dipinto nel terzo quarto del Cinquecento da Giacomo Rossignolo.
Vi sono sei altari laterali. Le due cappelle laterali maggiori, maestose, poste alle estremità dei bracci
della croce, sono delimitate da balaustre marmoree analoghe a quella del presbiterio; hanno altari di stucco
dipinto a finto marmo, con decorazioni prospettiche illusionistiche comprendenti colonne ed eleganti baldacchini e statue lignee anch'esse
dipinte a finto marmo, opera di Ignazio Perucca (1759), raffiguranti S. Orsola
a destra e la Madonna del Rosario a sinistra [Di Majo 2010, pp. 52, 504]; al di sopra, nelle lunette, vi sono affreschi staccati e intelati (dal prof. Nicola) con S. Orsola e le sue compagne e la Madonna del Rosario, opera di Luca Rossetti e di Ferraris [Facchin 2014, p. 69]. Agli
angoli dell’aula sono collocate quattro originali ed eleganti cappellette su pianta rettangolare, a due piani, coperte
da piccole cupole a base circolare [Olivero 1940, p. 229]; deliziosi coretti
circondano le volte quali minuti matronei; le cappelle sono delimitate da balaustre di legno e hanno piccoli altari di
stucco dipinto dedicati a S. Luigi Gonzaga e S. Candido (con S. Rocco) a destra, S. Anna e S. Giuseppe a sinistra; sulle pareti
di fondo sono poste pale, opere giovanili di Carlo Gorzio (1754), con cornici mistilinee di stucco [Aletto 2006, p. 163; Facchin 2014, p. 68]. Nella cappella di S. Luigi Gonzaga è conservata entro una nicchia una statua lignea dorata della Madonna del Rosario (sec. XVIII). Nella cappella di S. Candido, l’ultima a destra, il
quadro di Carlo Gorzio raffigurante un Angelo che concede la palma e la corona ai Ss. Candido e Rocco ha uno sportello centrale
(dipinto col martirio di S. Candido), che copre una grata chiusa da quattro serrature, oltre la quale in una
nicchia è riposto un busto-reliquiario d’argento del santo, risalente al 1713
[Guasco 1912, pp. 42, 50]. Un'epigrafe ricorda la storia delle
reliquie [Negro 1974, p. 33]. L’imponente pulpito ligneo settecentesco
con ornati e rilievi scolpiti raffiguranti S. Antonio Abate e gli Evangelisti, è attribuito a
Cristoforo Germano Serra (metà sec. XVIII) [Caramellino 1986, p. 14].
Sopra la porta d’ingresso, su un palco ligneo decorato e sorretto da colonne scanalate rivestite di legno pregiato,
si trova il grande organo di Felice Silvera (1842), rimodernato nel 1904 da Giuseppe
Gandini e restaurato nel 2013 dai fratelli Marzi. Il precedente organo del 1773,
costruito da Giuseppe Savina, fu trasferito nel 1841 a Montechiaro d’Asti
[Grignolio 1993, p. 72;
Cavallo 1999, pp. 105-110]. Una
porta sul lato destro al fondo della chiesa conduce nella sacrestia dove sono
collocati i ritratti di quattro parroci che vestono la mozzetta bordata di pelliccia, distintiva dei vicari foranei: Carlo Antonio Serra Madio, Giovanni Michele Mignacco, Celestino Malaterra, Giovanni Francesco Cassone; l'ultimo ritratto è opera di Carlo Antonio Martini (1853).
S. Maria delle Grazie o Madonna della Neve (B. V. ad Nives,
detta la Madonnina): in via Asti all’estremo sud-occidentale
del paese. La chiesa primitiva fu eretta nel 1631 dalle famiglie Mola e Ossola, preservate dalla peste;
venne interdetta nel 1818 perché pericolante e demolita nel 1823. Un disegno preparatorio di don Audisio per un nuovo
edificio (1823), non fu realizzato perché troppo costoso; nello stesso anno Giuseppe Cappello (Capello?) presentò un
nuovo progetto neoclassico, che, con qualche variante, rispecchia la realizzazione finale: pianta a croce greca, con
nucleo centrale circolare coperto da cupola emisferica del diametro di 7.5 metri e quattro bracci diametralmente simmetrici.
I lavori iniziati solo nel 1826 (capomastri Domenico Giani e Antonio Ariolo di Murisengo), terminarono nel 1829. La chiesa fu
benedetta nel 1835. Nel 1858 Giuseppe Moratti decorò mediocremente l’interno. Nel 1860 si costruirono sacrestia e coro,
chiudendo ad angolo retto i due spazi esterni compresi tra il braccio del presbiterio e i due bracci laterali
[Rigotti 1933, pp. 2-17; Guasco 1912,
p. 53]. L’interno fu restaurato nel 1881 [Grignolio 1980, p. 156]. La cupola
inizialmente era rivestita di piombo; venne in parte ricostruita nel 1906, rifacendo in cemento la lanterna e ricoprendo
la volta con lastre di latta; nel 1920 tale copertura fu sostituita da una coltre di cemento di 3-4 centimetri, senza
giunti di dilatazione; nel 1930 si effettuò un restauro generale (arch. Giorgio Rigotti): vennero ricostruite cupola e
lanterna, fu arretrato il filo del muro, abbassata la copertura della sacrestia e del coro, riparata la muratura; all’interno
vennero rimosse le decorazioni del 1858 e rifatti i particolari decorativi in stucco [Rigotti
1933, pp. 4, 17-18]. L’edificio è ora in buone condizioni; viene utilizzato per manifestazioni culturali.
Ciascun braccio termina con un prospetto esterno
delimitato da colonne appoggiate su alti basamenti; i capitelli dorici sorreggono la trabeazione e un frontone triangolare
con cornice aggettante; nel braccio rivolto a nord-est, in direzione del centro
del paese, si apre la porta d’ingresso. L'interno prende luce da cinque finestre semilunari policrome; quella sopra la porta d'ingresso, datata 2001, è firmata E. Marra (pittore) e V. Villa (esecutore). All’altare è collocato un trittico, già presente nella
prima chiesa, che ha un’importante cornice di legno scolpito e dorato; vi sono raffigurati la Madonna col Bambino,
S. Domenico col modellino di una chiesa, S. Filippo Apostolo
e il Creatore; è stato restaurato nel 1991 (ditta Marello e Bianco)
[Giordano 1991]; l’opera è stata attribuita a Orsola Caccia [Ricaldone 1999,
p. 374] (vi sono però estese ridipinture che nascondono largamente l’originale); i santi Domenico e Filippo ricordano i
fondatori della prima chiesa, Domenico Mola e Filippo Ossola [Rigotti 1933, p. 18]. La Via Crucis ad olio su tela è opera di Adolfo Cormanni (1979-80).
S. Michele: situata nella parte alta del paese, il cosiddetto Türin vecc.
Già oratorio degli Angeli, edificato dall’omonima confraternita fondata nel 1488
[Sarboraria 2001, p. 14]; questo era ancora il titolo nel 1577, mentre nel 1584
veniva indicato come oratorio di S. Michele dei Disciplinanti [Guasco 1912, p. 52].
Nel 1615 fungeva da chiesa parrocchiale e il fonte battesimale fu utilizzato fino al 1624, periodo in cui la chiesa di S. Antonio
era in ricostruzione; sul davanti vi era un cimitero [Guasco 1912, pp. 52-53].
Un ampliamento della chiesa dal lato dell’altare fu effettuato nel 1731; alla stessa epoca dovrebbe risalire il nuovo altare
e il nartece. Nel 1893 risultava in buono stato. Una cartolina dell’inizio del sec. XX riproduce l’altare ora scomparso, con
paliotto in scagliola monolitico a fondo nero, recante cornice con fascia di girali, riquadro centrale con S. Michele, e
decorazioni a rocaille; una notizia lo darebbe ricollocato in una cappella del duomo di Casale (dove però non risulta);
pure la pala d’altare è scomparsa [Sarboraria 2001,
pp. 19-20, 100]. La chiesa è di proprietà comunale. Nel 2015 si sono conclusi lunghi lavori di restauro conservativo, con la collaborazione dell'Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato Casalese: l'edificio ora ospita eventi di carattere artistico e culturale.
Ampio sagrato dotato di terrazza. Muratura in mattoni e conci calcarei, con intonaco esterno quasi completamente
caduto. Un portico è addossato alla facciata. Adiacente alla parete destra vi è un loggiato aperto, affacciato su
via Sottocastello; nella parte corrispondente al fondo della chiesa il loggiato è suddiviso in altezza da un voltino, la cui
presenza crea nella metà inferiore un vano aperto sulla chiesa, un tempo adibito a sacrestia. Interno del tutto spoglio; aula
unica a rettangolo irregolare (il lato di facciata è obliquo), suddivisa da arcate a sesto ribassato poggianti su lesene e
rinforzate da catene metalliche. Volte a crociera e a botte lunettata [Sarboraria
2001, pp. 15-16].
S. Sebastiano:
nel cantone Rio (Rivo) (dial. antu Rì), sulla strada che da San Candido sale al paese. Costruita
presso altra chiesa più antica, interdetta nel 1836 perché diroccata. Fu terminata nel 1861 e benedetta
il 20/1/1862 [Guasco 1912, pp. 52-53].
È in buone condizioni. Facciata rivolta a sud, verso la strada. Sul lato destro del tetto è collocato un campaniletto a vela. L'interno, ad aula rettangolare con abside semicircolare, prende luce da tre finestre semicircolari, una in facciata, le altre sui due fianchi.
L'altar maggiore ha un paliotto di scagliola decorato a girali vegetali, databile
attorno agli anni 1670-90, simile agli esemplari presenti nelle chiese di S. Martino
di Isolengo e di S. Anna di Ilengo [Di Majo 2012b, p. 97].
Cappella del castello:
situata nella parte che prospetta sul
cortile della manica orientale del castello. Fu realizzata dagli Scozia nel 1878
su disegno del conte Carlo Ceppi [Guasco 1912, p. 18].
È una cappella di piccole dimensioni in stile eclettico, con pianta a croce greca,
i cui bracci si concludono con absidiole semicircolari coperte da semicupole, mentre
l'ambiente quadrato centrale è voltato a crociera e ai quattro angoli reca
gruppi di tre colonne tortili dipinte a finto marmo. Il soffitto è decorato a cielo
stellato. Il piccolo altare aveva in passato un trittico dipinto dal conte Rodolfo Curbis
di San Michele, raffigurante la Madonna del Rosario, venerata dai fondatori della
cappella, i coniugi marchesi Francesco Guasco Gallarati di Bisio e Tarsilla Scozia, sorretti
dai rispettivi santi protettori [Ricaldone
1999, p. 361], ora sostituito da un dipinto moderno su tavola.
S. Pietro: su un rilievo, 500 metri a sud del paese, presso la strada per Casa Battia.
Già priorato, forse dipendente dal monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia
(al 1027 risalgono le prime notizie di un luogo
fortificato, detto di S. Pietro, appartenente al monastero pavese) [MGH DD IV,
doc. 75, p. 96]. Nel 1299 e nel 1440 la chiesa è elencata nella pieve di
Castrum Turris, mentre nel 1348 e nel 1359 viene recensita tra i priorati
[ARMO pp. 39, 116, 237; Cognasso 1929,
p. 234]. Nel 1470 S. Pietro era unita alla chiesa di S. Maria di Tonengo (Tonco?), e ministro
era il giovane Bernardino Tibaldeschi, futuro primo vescovo della diocesi di Casale;
nel 1487 il beneficio di S. Pietro, unitamente a quello di S. Germano di
Paciliano, venne assegnato da papa Innocenzo VIII a Bernardino Gambera, mentre nel 1560 il beneficio di S. Pietro col terreno di sua pertinenza venne concesso a Teodoro Crova, chierico di Casale, con l'obbligo di riedificare la chiesa allora diroccata; la famiglia Crova mantenne il giuspatronato fino al sec. XVIII
[Ribaldone 2001, p. 214;
Curato 2002, pp. 20-21; ASDC, Vis. past. Radicati, 470-485, fasc. 18, f. 591r-v]. Nel 1584
l’edificio sacro appariva abbandonato, senza porta d’ingresso, con campanile in
parte demolito per riparare la chiesa; sul davanti vi era un cimitero. Nel 1616
la chiesa era completamente rovinata
[Bo 1980, pp. 217-18]. Prima del 1725,
accanto ai resti dell'antico edificio sacro, era stata costruita una nuova chiesa,
che però, a sua volta, era già scomparsa nei primi decenni del sec. XIX
[Vescovi 2007, p. 294]. Un notevole
intervento di restauro ha recentemente
interessato anche il sito circostante e una cava di gesso dismessa, trasformata
in panoramico teatro all’aperto. Durante i lavori si è ricuperato un piedritto
con l'imposta dell'arco di una monofora (ora conservata in Comune), che doveva
trovarsi in un piano superiore del campanile [Anselmo
2006, p. 62]. Nel 2016 è stata collocata all'interno della torre una scala a chiocciola in ferro che consente un'ampia vista panoramica dalla sommità.
Oggi resta solo una torre smozzicata, a pianta rettangolare (lati di m 5.45 e 4.84),
residuo del campanile della chiesa medievale. La muratura è costituita da grossi conci di
calcarenite della vicina collina di Montelungo, ben squadrati in corsi di altezza
variabile, escluso il fianco meridionale (che aderiva alla chiesa primitiva) dove
i conci sono di piccole dimensioni e la parete del tutto priva di decorazioni è
interrotta da una porta con archivolto, da cui si accede
all'interno del campanile. Dei due piani superstiti, privi di finestre, solo il
secondo è decorato con archetti pensili monolitici, semicolonne dotate di capitello,
piccoli protomi animali, rilievi zoomorfi. Le semicolonne centrali con capitello
a contatto con gli archetti pensili del fregio e la decorazione plastica degli
archetti ricordano il campanile della chiesa dei Ss. Vittore e Corona di Grazzano,
mentre i protomi animali sono simili all'apparato scultoreo dell'atrio del S. Evasio
di Casale, permettendo di ipotizzare una datazione della struttura attorno alla metà
del sec. XII [Vescovi
2007, pp. 295-97, 369; Vescovi 2012, p. 164].
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